SE LA PAROLA PIÙ FORTE E INTENSA È GIÀ STATA PRONUNCIATA, COSA RIMANE?

SE LA PAROLA PIÙ FORTE E INTENSA È GIÀ STATA PRONUNCIATA, COSA RIMANE?

Nell’immensa Torre di Babele che è questa Terra, ci sono parole legate alle emozioni che esistono in una lingua soltanto, tra queste, quelle immense, sono legate a sensazioni ed emozioni. In Namibia esiste una parola che indica il camminare in punta di piedi sulla sabbia calda: hanyauku. In Norvegia bere una birra all’aperto in una giornata di sole si dice utepils. Nel linguaggio indigeno della Terra del Fuoco per definire due persone che si piacciono, si guardano, ma hanno paura di fare il primo passo, si usa il termine mamihlapinatapei. Le parole nascono dall’esigenza di esprimere qualcosa e non tutti i popoli hanno le stesse abitudini, inclinazioni, condizioni climatiche e conformazione geografica. Queste tre parole, non solo definiscono l’indefinibile in un’altra lingua, ma raccontano qualcosa delle abitudini ed attitudini del luogo in cui sono nate e della gente che ci abita.

Ma se la parola più forte, intensa e densa di significato è già stata pronunciata, magari più volte, cosa rimane?

Tenere per mano, proteggere, asciugare lacrime, prendersi cura, partecipare a una gioia, convertire un turbamento in una risalta, aspettare sotto casa, rimboccare le coperte, lasciare l’ultimo cucchiaino di un dolce, rassicurare, aspettare svegli, mandare dei fiori, abbracciare forte, portare la colazione a letto, baciare ripetutamente, rispettare i tempi, guardare intensamente, sdrammatizzare, massaggiare le spalle, concedere spazi, preparare la cena, accendere candele, creare momenti, stupire, coccolare.

Donare tempo, donare corpo, donare spirito, donare anima, donare amore.

Forse i gesti sono il superlativo assoluto delle parole.

cristinafelice.altervista.org