GIA’ CHE SEI LI’

GIA’ CHE SEI LI’

Quando io e mio fratello eravamo ragazzini, a casa nostra c’era una sola TV, il TG era alle 20, poi si cenava e si restava tutti nella stessa stanza che in italiano si chiama soggiorno ma a Torino l’han sempre chiamato tinello. Se eravamo a casa da soli ci rubavamo il telecomando dalle mani alla ricerca di programmi che non collimavano quasi mai, facevano eccezione solo Lupin e Vanna Marchi con Do Nascimento, avevamo un precoce ed evidente interesse verso la sociologia criminale. Se c’era anche mamma sceglieva lei checché ne pensasse la Montessori.

L’unico errore che potevi commettere la sera era alzarti, chiunque si alzasse doveva sopperire ai bisogni celati per una o due ore di chi se ne stava ancora bellamente seduto, allenavamo la vescica pur di non alzarci e non sentire le temute parole “già che sei lì” seguite da ogni forma di richiesta. Valeva tutto, da prendi il gelato nel freezer a costruisci una capanna indiana con gli stecchini degli spiedini e gli strofinacci per asciugarsi le mani in cucina. Quando la richiesta esulava il tinello la frase variava leggermente in “già che sei in piedi” (oh tu, fortunato bipede deambulante) vai in camera a prendermi un golf, a farmi lo zaino, a cercare il Santo Graal sotto al letto.

Domenica in barca ho scoperto che il “già che sei lì” esiste anche in vela, fisicamente è l’ingresso della coperta, dove sono stipate maglie e borse, bibite e panini, telefoni e casse per sentire la musica. Come in casa spesso il quel luogo c’è la stessa persona che si arma di pazienza infinita e si prende cura dei bisogni altrui. E prendersi cura degli altri non è da tutti, in casa come in barca è un connubio di pazienza e sentimento. Qualcosa che dovrei cercare sotto al letto, magari una volta ce li avevo.

❤cristinafelice.altervista.org❤