BAMBINE RIBELLI

BAMBINE RIBELLI

Dai 4 ai 9 anni sono stata una promettente ballerina di danza classica e se la vita non avesse deciso di gettarmisi addosso con prepotenza, avrei probabilmente proseguito a oltranza. Helen, la mia maestra, era una donna che oltre a plié, jeté e pirouette, forniva accorate lezioni di vita.

La sala da ballo della scuola di danza era ricoperta di parquet color miele, pianoforte a coda da una parte, sbarre e specchi intorno, un bagno e una nicchia con a disposizione acqua per dissetarsi. Il pavimento della nicchia era completamente coperto dal pluriball (la plastica con le bolle d’aria). Le bolle non dovevano scoppiare camminandoci sopra, eravamo ballerine, suvvia. Sicuramente non dovevamo scoppiarle con dolo o intenzione. Pena: una punizione ignota.

Io e la mia socia Annalisa (l’ultima della foto, io sono, ovviamente la penultima, due autentiche ribelli!), mai avremmo scoppiato le bolle durante la lezione. Ma prima della lezione eravamo due piccole ninja che si davano forza l’un l’altra. Scoppiavamo una bolla, scappavamo, ridevamo, cercavamo di capire se qualcuno ci avrebbe sgridate. Non accadeva e continuavamo. È incredibile come da adulti ci annoiamo in un lampo e da bambini un gioco possa non finire mai.

Per tutti i 6 anni di danza la punizione per noi due fu aprire a teatro gli spettacoli delle grandi, ma noi eravamo impavide (e con una discreta faccia da culo devo dire) noi ballavamo di più e quindi eravamo più felici. Forse la vera punizione erano gli sguardi non proprio amichevoli che avevamo intorno, ma le cinquenni non badano agli sguardi, per fortuna. Lo fanno i grandi, che badano al giudizio di persone che di solito nelle loro vite contano meno di zero.

Il più grande messaggio di Helen, ripetuto all’inizio di ogni saggio e spettacolo, sempre con estrema serietà era questo: “una vera ballerina non smetterebbe di danzare neanche se cadesse il teatro”. La prima volta che sentii quelle parole, dall’alto dei miei ottanta centimetri, valutai la solidità strutturale del palco saltandoci sopra, era stabile, tutto ok. L’edificio io non lo vedevo, il teatro per me erano le quinte e il palco per tutto il periodo delle prove. Poi, il giorno in cui sullo chignon e tra le trecce c’erano i nastri di raso, veniva anche la tua famiglia a guardarti e improvvisamente percepivi la platea.

Dietro le quinte c’era un’assistente di Helen che ci scuoiava via di dosso i tutù e le tutine e ce ne incastonava addosso di nuovi, spesso identici ma di diverso colore. Deve essere stato così che ho imparato a prepararmi in tempi piuttosto celeri!

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