Quando ero piccola, i capelli ai bambini si tagliavano in casa. Ricordo ancora i miei pianti disperati, quando quella treccia lasciava per sempre la mia testolina. A me faceva male quando mi tagliavano i capelli, ne ero certa, convinta, le mie lacrime enormi ne erano la prova.
Poi sono cresciuta e sebbene da un po’ di tempo io sappia che i capelli recisi non possano dolere, a me fanno male lo stesso. E ho ripensato a quei lacrimoni, scavando più a fondo, chiedendomi se i capelli non mi venissero tirati, la cute, quella sì che può far male. Ma non c’era nulla di razionale in quel dolore.
Quelle forbici ferivano la mia immagine allo specchio, contaminavano la mia abitudine di addormentarmi arricciando una ciocca intorno all’indice della mano sinistra. Quando mi facevano male i capelli era come quando soffrendo per amore si dice che fa male il cuore.
Ma anche come quando aspetti una persona e hai un nodo alla gola. Come quando ti emozioni e una fitta ti trafigge lo stomaco. Come quando sognante, senti le farfalle nella pancia. Come quando immagini una persona che vorresti accanto, per talmente tanto tempo, che sembra lì con te.
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