SULLE COSE CHE IMPARI E NON DIMENTICHI PIÙ

SULLE COSE CHE IMPARI E NON DIMENTICHI PIÙ

Non salivo su una bici da almeno 20anni, di fatto perché la mia considerazione dei ciclisti è sempre stata a dir poco bassa, mandrie di folli che intasano strade di montagna e controviali di città, ignari di cosa vogliano dire “pista ciclabile”, “fila indiana” e “tenere la destra”. Ma a La Digue o ti sposti in bici o a piedi, se sei molto ricco in taxi, fine delle opzioni. Così ho riposizionato il mio B-side su quello scomodo sellino, che ti chiedi se non esista un luminare che in tutti questi anni abbia trovato una formula per rendere la seduta meno sgradevole, ma evidentemente no. Montata su quella Mountain Bike con cambio Shimano che in un attimo mi sono tornati in mente Giorgio Mastrota e batterie di pentole, ho scoperto che davvero se impari ad andare in bici non lo dimentichi più. Certo Moser credo possa stare sereno, non conto di eguagliarlo nei risultati, ma qualche spostamento l’ho fatto e, lividi sulle gambe a parte, sono viva. E guidando al contrario, che, maledetti inglesi, questa malattia di tenere la parte sbagliata della strada l’hanno attaccata a tutti i popoli con cui si sono interfacciati anche solo cinque minuti.

Ho letto che il cervello archivia determinati automatismi e se li tiene lì, come quel vestito che non buttiamo via perché non-si-sa-mai. E così, andare in bici, nuotare e mangiare con le bacchette, saranno lì anche se per millenni non andremo al giapponese, mentre potremmo dimenticare una poesia che eravamo convinti di sapere benissimo.

E allora ci ho pensato a questa cosa del cervello, al fatto che forse non ricorderà più quelle due parole che che iniziano per ti e finiscono per amo, ma si ricorderà come abbracciare, baciare e fare l’amore, che sono la traduzione in gesti di parole dimenticate.

cristinafelice.altervista.org