UN VIAGGIO NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

UN VIAGGIO NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

Se non fossi entrata in un tunnel buio, con un corrimano sottilissimo, un percorso tanto breve quanto destabilizzante, rinunciando al più fondamentale dei sensi, restando a tratti senza fiato, non avrei mai potuto entrare in una stanza con funghetti impiccati e stupirmi, rilassarmi, sedermi per terra, giocare.

Ci sono sensazioni che possono scaturire solo in determinate circostanze e ci siamo noi, che possiamo scegliere se e come vivere le emozioni sulla nostra pelle. Farsi coinvolgere, specie quando tutto sembra assurdo, è una meravigliosa forma di ribellione nei confronti dell’esterno e di accondiscendenza nei confronti dell’interno. Ma se mescolassimo parole e sensazioni, se l’esterno fosse la nostra pelle, quella ribellione sarebbe inclusione, desiderio, necessità. E se l’interno per un attimo non esistesse e mettessimo da parte tutto quello che vogliamo e non vogliamo, che potrebbe essere o non essere, ogni analisi del rischio, imprevisti e probabilità. Allora tutto sarebbe possibile, anche solo per un giorno. Attendendo in completo silenzio che ciò che abbiamo preso e donato possa trasformarsi in necessità e ripetersi ancora e ancora. O usando il silenzio per fuggire da questa possibilità, consapevoli del fatto che talvolta mantenere l’unicità eleverebbe quell’esperienza a speciale, folle, a una meravigliosa realtà dalla quale attingere quando occorre sognare un po’, a un viaggio nel paese delle meraviglie.

Questa installazione si trova nella torre della Fondazione Prada a Milano, è composta da un corridoio totalmente buio (Gantenbein Corridor, Carsten Holler) che sfocia in questa stanza che catapulta in una sorta di trasposizione di Alice nel Paese delle Meraviglie (Upside Down Mushroom Room sempre di Carsten Holler).

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