ESTATE RAGAZZI – Il giorno della piscina

Tra la fine della scuola e l’inizio delle vacanze estive, esisteva un limbo meraviglioso che, quando ero ragazzina io, si chiamava Estate Ragazzi. Il quartier generale poteva variare la sua ubicazione, ma il fulcro dell’esperienza si svolgeva nelle attività ludico ricreative che si svolgevano quotidianamente all’esterno.

Il giorno della piscina.

Cancellate dal vostro immaginario le moderne piscine alla moda, con gli scivoli, gli animali esotici, i bordi arrotondati e gli scalini in muratura fin dentro l’acqua. Parliamo di semplici parallelepipedi concavi riempiti d’acqua gelida, con una scaletta in metallo sul lato corto, in cui era vietato tuffarsi. Quindi le modalità di accesso in acqua si riducevano sostanzialmente a tre: in piedi sul bordo, seduti sul bordo, scaletta. Il tuo ingresso decretava il tuo valore, al pari delle cicacrici. Passavamo interi pomeriggi a mostrare orgogliosi i segni tangibili delle nostre avventure, narrandone le gesta con meticolosa accuratezza.

L’attempato bagnino comunale, che non sono certa sapesse davvero nuotare, con il suo acuto fischietto tra le labbra doveva far rispettare soltanto 3 regole.

  1. In acqua si indossava la cuffia, se la perdevi, ti si sfilava o un compagno te la toglieva, fischiava.
  2. Vietato correre lungo il bordo. I cartelli gialli con cui oggi chiunque scarica le responsabilità in due lingue, è inutile dirvi che non esistevano ancora.
  3. È proibito tuffarsi, ma senza corsa, niente rincorsa e niente tuffo.

Le femmine avevano delle torture medievali a forma di disco di plastica, farcite con un generoso ripieno di talco, usato per non far fondere i due lembi e per migliorare la vestibilità. Per indossarle occorrevano due persone: una teneva salda la parte a contatto con la nuca, l’altra, con due mani allargava e disegnava un doppio arco fino a raggiungere la fronte, poi lasciava andare. Le cuffie di plastica, sulla fronte occludevano la circolazione, sulla nuca rimanevano socchiuse a mo’ di grotta, annullando quindi la loro funzione idrorepellente.

I maschi erano più fortunati, per loro cuffie in tessuto rigorosamente bicolor: bianche e rosse, bianche e verdi, bianche e blu. Le tinte unite le hanno evidentemente vagliate dopo gli anni 90. Non appena uscivano dall’acqua, le cuffie dei maschi si trasformavano in bombe sgocciolanti da lanciare ai compagni. Se per il lancio correvano sul bordo venivano fischiati dal bagnino, se erano fermi o lontani dal bordo era un problema di competennza dell’adulto vigilante. Il quale, non essendo dotato di fischietto, pronunciava nomi a caso e intimava la fine del gioco. Quindi ognuno si metteva in testa la cuffia che aveva in mano, che contrariamente a ogni legge statistica, non era mai quella con cui era arrivato in piscina. Ma questo non vuol dire che in origine non gli appartenesse.

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