GIOCHI SENZA FRONTIERE

Kylemore Abbey – Connemara, Irlanda – foto di Cristina Felice

Nell’estate di molti anni fa, io ne avevo circa 12, per ragioni che all’interno della mia famiglia risultano ancora estremamente discordanti, venni depositata. per un lasso di tempo infinito. in un collegio di Orsoline. L’edificio si presentava tutto bianco e immerso nel verde, non avendo una foto ve lo lascio immaginare un po’ più romantico! Questa è la Kylemore Abbey e si trova nel Connemara, in Irlanda.

Al mio arrivo, un certo numero di ragazzini poco più grandi di me, si presentò educatamente sotto gli occhi delle suore. Monitorata la situazione, la mia famiglia mi abbandonò e io presi lo sguardo di Heidi a Francoforte. Dopo aver sistemato i miei ricchi averi in stanza (condivisa), raggiunsi gli altri in giardino. La suora sorvegliante mi invitò a unirmi nel gioco, al gruppo delle femmine.

Pochi istanti dopo venni sommersa dalla grande domanda: a te chi piace? Da nota rincoglionita quale sono ancora oggi, non compresi la domanda in prima battuta, ma vedendo tutti gli sguardi rivolti verso il gruppetto maschile, azionai le sinapsi per rispondere: “nessuno”. 12 anni VS 42 e non è cambiato niente! Messa alle strette adocchiai un biondo con gli occhi azzurri, un mini-Ken e scelsi quello. Cosa che non andava bene perché piaceva già a una tizia, mi sciacquai di dosso il bramoso gruppetto dicendo che comunque io avevo già un legame sentimentale importante. Come un po’ tutti a 12 anni! L’escamotage funzionò perché smisero di vedermi come una possibile rivale e si placarono gli animi.

La vita all’interno della White House bucolica e cattolica era dettata da precisi orari e abitudini: pasti, preghiere, studio, gioco, telefonate, avevano un loro spazio e un loro tempo. Chiaramente in assoluta antitesi con la mia personalità da sempre, ma mi adeguai. Sapevo di esser innocente, si trattava di un errore giudiziario, ma non avendo contatti con il mio avvocato potevo solo sperare di poter uscire per buona condotta!

Di quell’estate salvo solo due cose.

La forzata divisione maschi/femmine tipica degli ambienti cattolici, fomentava desideri che io, ragazzina di città, abituata a gruppi misti da sempre, non avevo mai neanche immaginato. Pertanto, allo spegnimento delle luci e conseguente riposo delle suore, c’era un appuntamento fisso in una delle sale comuni al piano terra. Rigorosamente scalzi per non fare rumore, le “coppie” formatesi con fugaci sguardi diurni, concretizzavano la sera con focosi baci a stampo, un paio avevano anche limonato male nell’imbarazzo generale.

L’altro aspetto meraviglioso era rappresentato dal frizzante sabato sera davanti a “Giochi senza frontiere”. Il “trois-deux-un” di Jocelyn era estremamente rassicurante in quanto l’unica prova che ci trovassimo in un posto reale e in ogni caso all’interno dei confini europei. “Giochi senza frontiere” era una competizione sportiva sana tra due squadre trasmessa dalla RAI (che era come è ora Radio Maria). La sigla echeggiava da ogni finestra dei condomini di città, per le vie di piccoli paesi di montagna e nei caruggi delle località balneari della Liguria allo stesso modo. Si decideva per quale squadra parteggiare, ma tanto vinceva sempre Andorra.

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